Mondo del lavoro e mondo della formazione


Intervista a Matteo Pedrini, professore ordinario dell’Università Cattolica di Milano e direttore scientifico del network Sustainability Makers.
In generale come sta cambiando il mercato del lavoro in Italia e quali sono le tendenze più significative anche a livello internazionale?
Come è noto il mercato del lavoro è soggetto a oscillazioni periodiche legate alle congiunture economiche, passando da momenti di euforia a momenti di stagnazione. Queste oscillazioni creano solitamente dinamiche temporanee, in alcuni casi le oscillazioni sono conseguenze di fenomeni che possono portare a un cambiamento radicale del mercato del lavoro. In questo momento ci troviamo in una fase di estrema turbolenza del mercato del lavoro, giustificata dalla compresenza di differenti fattori di shock che sembrano aver generato un cambiamento permanente.
Un primo shock è dato dalla pandemia COVID-19. La pandemia nel breve periodo ha imposto un’accelerazione nelle infrastrutture aziendali per permettere il lavoro domestico, mentre nel medio periodo ha generato un movimento mondiale che, alla luce dell’esperienza lavorativa fatta negli ultimi anni, si oppone a un ritorno a modelli di lavoro tradizionali. L’esperienza della pandemia ha generato l’ondata di dimissioni denominate YOLO (acronimo di «You Only Live Once»), risultato di un fenomeno di riesame collettivo dei valori e delle priorità personali che ha portato molti a porre in primo piano il proprio benessere rispetto all’impegno lavorativo. Uno studio di McKinsey ha recentemente stimato che il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi 4-6 mesi con un simultaneo 53% dei datori di lavoro che ha affermato di avere un turnover volontario maggiore rispetto agli anni precedenti. Ci troviamo quindi in un momento in cui le aziende devono trovare il modo di razionalizzare le esperienze di lavoro da remoto, identificare nuove organizzazioni del lavoro che permettano di coglierne i benefici e definire una proposta lavorativa capace di rispondere alle nuove aspettative dei lavoratori.
Allo shock della pandemia se ne sono aggiunti due ulteriori: da una parte l’avvento di una guerra in terra europea (fenomeno fino a poco tempo fa nemmeno immaginabile), dall’altro la presa di consapevolezza dell’ineluttabilità della questione ambientale. Se il primo fenomeno e le conseguenti sanzioni imposte alla Russia comportano difficoltà di approvvigionamento, una pressione sui costi aziendali e un conseguente innalzamento dello stress da lavoro, il secondo sta imponendo un ripensamento dei modelli di business delle aziende. Questi tre fenomeni, tra loro interrelati, richiedono un complessivo ridisegno delle modalità di organizzazione del lavoro e delle relazioni lavorative, un riassetto delle competenze e delle figure professionali verso la sostenibilità e un salto di impegno delle aziende nel rispondere alle crescenti esigenze di compatibilità tra vita lavorativa e privata.

Quali sono le figure professionali più richieste in questa fase di transizione ecologica?
In questa fase di transizione ecologica ci troviamo di fronte a un panorama di aziende con differenti storie di impegno attorno alla questione ambientale che, conseguentemente, stanno affrontando la transizione con modalità e velocità differenti. Le aziende caratterizzate da un impegno più maturo hanno investito in passato nello sviluppo di figure professionali di tipo manageriale orientate alla gestione degli aspetti sociali e ambientali dotandosi di un sustainability manager. Queste aziende oggi si trovano ad avere unità organizzative dedicate alla sostenibilità già strutturate e sono attualmente alla ricerca di due tipi di figure professionali per rinforzare tali unità. Da un lato hanno raggiunto un livello di maturità attorno alla sostenibilità tale da inserire esperti di specifiche pratiche socio-ambientali, e sono quindi alla ricerca di esperti di rendicontazione, di dialogo con gli stakeholder o di catena di fornitura. Dall’altro sono alla ricerca di figure professionali che possano portare in azienda competenze tecniche di carattere ambientale, ricercando ingegneri ambientali o energy manager per assicurarsi un salto di qualità nel bagaglio di competenze della funzione. Se queste seconde figure sono presenti sul mercato del lavoro, le figure di carattere manageriale, specie di livello middle o senior, sono ad oggi disponibili in modo limitato sul mercato del lavoro configurando uno squilibrio tra domanda e offerta ed una competizione tra aziende per accedere a queste figure.
Per le aziende che si stanno avvicinando o si sono avvicinate da poco ai temi della sostenibilità la situazione è radicalmente differente. Queste aziende vivono la necessità di dotarsi di figure professionali che possano farsi carico della pianificazione, della realizzazione e della rendicontazione delle tematiche di sostenibilità. In questo caso le aziende scelgono tipicamente di identificare una figura già presente internamente all’organizzazione e di attribuire alla stessa la responsabilità per le tematiche socio-ambientali. In questa situazione, almeno in un primo momento, le aziende non esprimono una specifica domanda sul mercato di lavoro, ma si trovano di fronte alla sfida di dotare di competenze i soggetti interni ed esprimono quindi una domanda di formazione.
Come sono cambiate le attese dei giovani rispetto al lavoro? Come si deve presentare un’azienda per essere attrattiva?
Già all’inizio degli anni 2000 alcuni studi accademici hanno dimostrato l’esistenza di una propensione dei lavoratori a preferire aziende “responsabili”, capaci quindi di esprimere una particolare attenzione al personale, un forte orientamento ambientale e con un modello di business sostenibile. Con il passare degli anni l’importanza attribuita a tali tematiche dalle differenti generazioni è progressivamente cresciuta, tanto che la Gen Z è comunemente riconosciuta come la generazione con la più alta attenzione ai temi della sostenibilità.
L’orientamento alla sostenibilità ha assunto una sempre crescente valenza per le aziende in chiave di employee branding e ha un impatto sui processi di recruiting. Vista la simultanea presenza del fenomeno di dimissioni YOLO, il tema dell’employee branding diventerà sempre più fondamentale per le imprese. Un secondo importante fenomeno è dato dal crescente numero di giovani che sono interessati a fare della sostenibilità la propria professione. A riguardo non ho dei dati a supporto, ma nella mia esperienza di contatto quotidiano nelle aule universitarie con i giovani, posso affermare che l’interesse per queste professioni sta subendo una crescita esponenziale, prova ne è anche il crescente impegno delle università attorno a questi temi.

Cosa sta facendo l’università per preparare giovani con le competenze più richieste dal mercato del lavoro?
Nello sviluppo delle nuove figure manageriali attorno alla sostenibilità certamente un ruolo centrale deve essere giocato dalle università. Anche in questo caso il panorama è variegato. A livello internazionale e a livello nazionale alcune università hanno attivato programmi di formazione attorno alla sostenibilità che, con una dote visionaria, sono stati fondati attorno nei primi anni 2000 e si collocano come percorsi consolidati sul mercato. Gli ultimi anni hanno visto un progressivo fenomeno di estensione dell’offerta formativa attorno alla sostenibilità, con l’attivazione di corsi “più giovani” che cercano di contribuire alla conversione delle figure professionali esistenti in chiave di sostenibilità e che si rivolgono in particolare alle piccole e medie aziende. In parallelo gli anni più recenti hanno visto ulteriori due fenomeni in tema di sostenibilità all’interno delle università.
Il primo è legato all’istituzione di percorsi formativi di base (lauree triennali e specialistiche) che fanno della sostenibilità uno degli elementi caratterizzanti. È quindi possibile oggi per i giovani interessati alla sostenibilità intraprendere un percorso di specializzazione a partire dai primi passi nel mondo universitario, cosa fino a qualche anno fa possibile solo in alcune università del Nord Europa.
Un secondo fenomeno vede le università riconoscere l’importanza delle tematiche connesse alla sostenibilità come dimensione trasversale, intraprendono il cosiddetto percorso di mainstreaming. Le università che operano in tale direzione non si limitano a inserire un corso dedicato alla sostenibilità nei percorsi di studio, ma si attivano per una progressiva integrazione delle tematiche socio-ambientali all’interno delle differenti discipline offerte nel percorso di studi. Il tema della sostenibilità è in questo caso affrontato come parte delle discipline di marketing, della gestione della catena di fornitura, della pianificazione e controllo, e così via. Questo secondo approccio è particolarmente dirompente, perché porta le università a rivestire un ruolo fondamentale nella creazione di una nuova cultura manageriale, che non si limita quindi alla gestione delle aziende nell’ottica della sola generazione del profitto e di valore per gli azionisti, ma che cerca di favorire un management responsabile. Al riguardo è interessante osservare come il mainstreaming della sostenibilità nelle lauree universitarie stia progressivamente rientrando nei criteri utilizzati dagli organismi internazionali indipendenti per attribuire le certificazioni di qualità ai percorsi di studi (si veda EFMD, AACSB e AMBA). In buona sostanza quindi, a livello internazionale, l’integrazione degli aspetti del management responsabile è considerato un elemento indispensabile per assicurare una formazione a tutti gli effetti di qualità.