L’internet delle cose

L’internet delle cose

C’è stato un periodo in cui molti futurologi si interrogavano su quanto la rete avrebbe modificato la nostra vita quotidiana non solo professionale. Nicholas Negroponte, ricercatore del MIT di Boston, scrisse ne 1995 un testo profetico (“Essere digitali”) che divenne ben presto un best seller. Tra le altre cose, ipotizzava che il computer ci avrebbe seguito ovunque e sarebbe stato il tramite per ogni nostro acquisto.

Tante intelligenze che comunicano fra loro.
La possibilità di integrare informazioni e oggetti e di essere continuamente connessi grazie ai device mobili ha cambiato il nostro rapporto con prodotti e servizi tanto che è nato un ambito specifico di ricerca chiamato IoT (Internet of Things, cioè Internet delle cose). Dalla app che ci permette di ordinare la pizza senza dover telefonare, al più sofisticato chip inserito nelle scarpe da running che, attraverso la rete, comunica a un corridore amatoriale dati di telemetria e tempi con una tecnologia da Formula Uno, molti oggetti oggi sono farciti di intelligenza in grado di comunicare con altre intelligenze. Per non parlare della domotica, che facilita la gestione delle case e le rende più sicure e protette. O della telemedicina, che consente il monitoraggio delle malattie croniche riducendo la necessità di accedere alle strutture sanitarie.

Due tecnologie, infinite possibilità.
Le tecnologie abilitanti alla base dell’Internet delle cose e del suo sviluppo sono soprattutto due: il perfezionamento degli standard di trasmissione wifi che rendono trasmissibili rapidamente dati di mole considerevole e i protocolli di geolocalizzazione per controllare l’oggetto in qualunque punto si trovi. La nostra vita così sta cambiando ma questa rapida trasformazione (come spesso è accaduto in ogni passaggio tecnologico epocale) non sempre è seguita da un quadro normativo adeguato. Uno dei problemi è capire quanto l’accrescimento di possibilità offerto ci renda effettivamente più liberi e se i dati che lasciamo nella rete – il prezzo pagato per avere servizi “gratis” – non vengano utilizzati a vario titolo da altri soggetti anche a nostra insaputa o, peggio, contro la nostra volontà.

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