La rivoluzione industriale, la Comune di Parigi, la crescente domanda di abitazioni per la popolazione operaia urbanizzata, i bombardamenti e le distruzioni causate dalla Seconda Guerra Mondiale, gli impatti della diffusione delle nuove tecnologie… i grandi fenomeni storici hanno sempre comportato profondi cambiamenti sul nostro modo di pensare e vivere le città. Lo stiamo vivendo anche oggi, in un mondo che si sta confrontando con l’emergenza Covid-19 e con una rivoluzione tecnologica – quella digitale – che ha enormi impatti sulle nostre esistenze.
Collegamenti pendolari costosi e stressanti, attività di ristorazione messe in ginocchio dallo svuotamento dei centri (ad esempio, Pret a Manger a Londra), difficoltà a sostenere costi troppo alti dei fondi (per le attività economiche) e abitativi (per residenti e studenti), riscoperta dei piccoli centri e recupero qualitativo delle periferie sono solo alcuni dei temi che l’attualità ha portato in primo piano.
Anche se le città stanno provando a rianimarsi, sono in molti a pensare che i grandi centri urbani torneranno a essere attrattivi solo se i policy maker sapranno adattarsi al cambiamento e realizzare interventi innovativi. Alcune grandi metropoli lo stanno già facendo. Fra tutte Parigi, dove il sindaco Anne Hidalgo, da poco rieletta per il secondo mandato, ha creato 50 chilometri di nuove piste ciclabili, che si aggiungono ai 1.000 già esistenti, e promette di trasformare la capitale francese (sulla scia della riflessione del professore della Sorbona Carlos Montero) nella “Città del quarto d’ora”, dove tutti i residenti potranno raggiungere a piedi o in bicicletta i servizi di cui hanno bisogno per lavorare, fare spese, divertirsi. Città meno frammentate. Meno specializzate. Di prossimità.
Pensare a dove e a come vivremo in futuro è un esercizio non facile. Qui richiamiamo qualche riflessione.