L’altra faccia della pandemia… l’infodemia

L’altra faccia della pandemia… l’infodemia

L’hanno chiamata “infodemia“, termine composto dalla fusione dei sostantivi “informazione” ed “epidemia“. È un altro dei tanti elementi problematici sui quali l’emergenza coronavirus Covid-19 ci ha portato nostro malgrado a riflettere. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne ha denunciato il rischio già a partire dai primi giorni di febbraio 2020.


Una produzione eccessiva di informazione non sufficientemente accurata che, più che produrre consapevolezza, ha contribuito ad amplificare incertezze e reazioni emotive nelle opinioni pubbliche di tutto il mondo. Come un organismo attaccato da un agente patogeno, i vari gangli di cui il sistema comunicativo globale è dotato – grazie anche alle enormi capacità di trasmissione e condivisione digitale – di fronte all’emergenza del virus si sono come infiammati, “secernendo” dosi abnormi di notizie scarsamente verificate. Complici, talvolta, gli stessi responsabili politici, e perfino gli esperti del mondo scientifico che in alcuni casi si sono sovraesposti finendo per svolgere una funzione impropria.


Per altro, pure in questo caso, come per altri aspetti legati al campo ambientale e sociale, il Covid-19 non ha che reso più evidenti problemi preesistenti. Problemi noti, ma non adeguatamente affrontati. Lo stesso termine “infodemia” pare risalire al 2003, coniato da David J. Rothkopf, che lo utilizzò in un articolo comparso nel maggio di quello stesso anno sul Washington Post. La pandemia da Covid-19 ha però chiarito a tutti l’ineludibilità di questi problemi.


Quanto sia importante, in questo caso, poter disporre, all’interno del più libero e ampio dibattito di idee possibile, di informazioni attendibili. Quanto il governo della realtà non ammetta scorciatoie anche sul piano comunicativo. Quanto nel maneggiare questioni complesse sia necessario affidarsi a rigore, competenze, condivisione di saperi, responsabilità e sensibilità. Tanto più di fronte a una pandemia globale destinata ad alimentare partecipazione emotiva e passioni per gli enormi impatti sanitari, sociali, economici e psicologici generati.


Forse il cambiamento trasformativo comincia anche da qui.

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