Le imprese familiari secondo Cristina Bombassei, presidente AIDAF
Sul tema della cultura d’impresa Soft&Green ha voluto sentire l’opinione di Cristina Bombassei, presidente AIDAF, il Chapter italiano di FBN, Family Business Network.
L’osservatorio AUB (acronimo di AIDAF, Unicredit e Bocconi), restituisce la fotografia di un’economia italiana in cui le imprese familiari, come Brembo e Sofidel, rappresentano un attore importante. Quali sono oggi i principali punti di forza delle imprese familiari? E quelli di debolezza?
Basandoci sui dati dell’Osservatorio AUB le aziende familiari nel 2021 hanno registrato un “rimbalzo” dei ricavi pari a oltre il 20% superiore a quello delle imprese non familiari, inoltre il reddito netto delle aziende familiari ha superato il valore degli anni precedenti. Oltre i miglioramenti di redditività, abbiamo visto anche l’aumento dell’occupazione che, per tutte le aziende familiari, è cresciuta del 3.8% dal 2019 al 2021.
Parlando di punti di debolezza, a livello di imprese italiane, non solamente di quelle familiari, molte aziende non sono particolarmente virtuose sul piano della propria governance, specialmente sul piano generazionale e di genere, infatti nei CdA delle aziende sopra i 20 milioni di euro, solo il 37,6% delle imprese ha una quota del genere meno rappresentato (quello femminile) superiore al 33% (con un miglioramento di soli 3 punti percentuali rispetto a dieci anni fa). Inoltre, osservando l’ultimo decennio, in quasi il 75% dei CdA non sono presenti consiglieri sotto i 40 anni. Per questo motivo AIDAF si è fatta promotrice di una proposta di legge, depositata lo scorso maggio, che vuole aiutare a rendere reale la diversità nelle aziende, siano esse quotate o no. La proposta è quella di istituire una Certificazione della diversità nella composizione del Consiglio di Amministrazione, che sarà riconosciuta alle società che rispetteranno i seguenti requisiti: il genere maggiormente rappresentato non costituisce più del 60% degli amministratori, almeno uno degli amministratori ha meno di 40 anni, non più di un amministratore ha oltre 70 anni, almeno un amministratore possiede i requisiti di indipendenza previsti dalla normativa vigente.
Le aziende familiari italiane si distinguono anche per la longevità: tra le prime 100 imprese più antiche al mondo 13 sono italiane. Si tratta di una specificità tutta italiana o è un luogo comune?
Parlerei di specificità: avere 13 aziende italiane in classifica è sicuramente un punto di forza. Non si tratta però di una caratteristica prettamente italiana. Ad esempio, l’azienda più antica del mondo è giapponese e risale al 718 d.C.
Per quanto riguarda l’Europa e l’Italia, da uno studio pubblicato dalla Bocconi in collaborazione con Russell Reynolds, emerge che la longevità delle famiglie può derivare dal desiderio di gestire aziende solide, basate su valori che solo in ambito familiare si possono tramandare; le imprese più longeve sono quelle proiettate verso il futuro e che sanno già come affrontare un passaggio generazionale, riuscendo in questo modo ad assicurare continuità di leadership.
Proseguire nel tempo con la medesima linea familiare significa anche pensare al futuro delle prossime generazioni, che è l’obiettivo primario delle aziende di famiglia.
Nella cultura di queste aziende è presente qualcosa che le rende più sostenibili e resilienti? È possibile tracciare le fasi fondamentali di sviluppo delle imprese familiari ma soprattutto come si difende e si fa evolvere la loro identità?
Il tratto distintivo per l’identità di un’azienda familiare è sicuramente l’impegno per una crescita sostenibile, in grado di assicurare soddisfazione dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Questa altro non è che la definizione di sviluppo sostenibile. La riflessione sulle future generazioni è quindi intrinseca alle aziende familiari e fa parte della vocazione di AIDAF.
AIDAF cerca infatti di promuovere la presa di coscienza nella nuova generazione di un senso di responsabilità sociale sia come leader o manager che come socio, rispettando sempre le regole e la condivisione come valori di riferimento.
Per concludere, Brembo (ndr Cristina Bombassei ricopre anche il ruolo di Chief Corporate Social Responsibility Officer di Brembo) è un’azienda di solide tradizioni che opera sul mercato internazionale da molti anni. Per lo sviluppo del vostro business quanto sono stati importanti i valori nei quali credete e che ruolo ha avuto l’inserimento della sostenibilità nel piano industriale?
Nella sua storia, Brembo ha fatto della sostenibilità la sua caratteristica distintiva, integrandola sempre più nelle scelte strategiche e di innovazione del Gruppo. In particolare, le emissioni dei nostri stabilimenti e sedi nel mondo continuano a diminuire, dal 2018 al 2022 si sono ridotte del 50%. L’uso di energia elettrica da fonti rinnovabili invece aumenta e nel 2022 ha raggiunto un livello senza precedenti, contando per il 69% del totale. In tre Paesi raggiunge persino il 100% delle fonti utilizzate. Questi non sono risultati semplici per un’impresa manifatturiera completamente integrata come la nostra, ma siamo costantemente concentrati a fare di meglio. Dal 2018 abbiamo aderito all’Agenda 2030 dell’ONU, con l’intento di voler contribuire a soddisfare i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Questo impegno ci viene riconosciuto: nel 2022 Brembo è stata infatti premiata per la leadership nella sostenibilità d’impresa da CDP (ex Carbon Disclosure Project), l’organizzazione globale no-profit che misura l’impegno per l’ambiente delle aziende, delle città e delle organizzazioni. Per il quinto anno consecutivo abbiamo ricevuto la prestigiosa “doppia A”, che riconosce la nostra concreta azione nei confronti del cambiamento climatico e dei rischi della gestione delle risorse idriche.