Non chiamiamole periferie…


Uno dei grandi capitoli che riguarda l’evoluzione delle nostre città è quello delle periferie.
La contrapposizione centro-periferia ha caratterizzato per decenni funzioni, qualità urbana e valori degli spazi cittadini, e il termine periferia ha avuto quasi sempre un’accezione negativa: una struttura urbana poco interessante, considerata “difficile”, con problemi di degrado fisico e sociale, e un livello di qualità della vita di solito abbastanza basso.
A richiamare l’attenzione su questo tema, fra le principali voci che da anni si sono fatte sentire, quella di un grande architetto come Renzo Piano, partito dalla semplice costatazione che nelle periferie vive la gran parte della popolazione urbana. “Sono proprio le periferie – ha scritto Piano – la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee”.
Parole d’ordine: “intensificare la città” (gli standard urbani), costruire sul costruito, garantire un mix di funzioni, realizzare punti d’incontro per condividere valori e “celebrare un rito che si chiama urbanità”. L’esperienza legata alla pandemia Covid-19 ha reso ancora più attuale la riflessione sull’organizzazione delle nostre città. E il contesto è favorevole.
In Europa il Green Deal, la strategia per la crescita varata dalla Commissione nel gennaio del 2020, va proprio in questa direzione e contempla azioni per garantire maggiore efficienza energetica degli edifici. Così come Next Generation EU, l’insieme di misure (del valore complessivo 750 miliardi di euro) approvate a luglio 2020 dal Consiglio d’Europa per contrastare le difficoltà economiche e sociali generate dall’emergenza Covid-19. Ora più che mai è il tempo di agire.