Fare impresa ai tempi della transizione ecologica
Intervista al professor Edoardo Croci della Bocconi
Soft&Green ha chiesto al professor Edoardo Croci, docente e coordinatore dell’Osservatorio Green Economy presso il centro GREEN dell’Università Bocconi, una riflessione sulla transizione energetica.
La transizione ecologica è fondamentale per il nostro Paese e richiederà un impegno importante anche da parte delle imprese. Per modificare il sistema energetico e ridurre l’impatto ambientale saranno necessari cambiamenti radicali che avranno certamente un prezzo. Qual è la sua opinione in merito?
Le imprese sono un soggetto centrale della transizione ecologica. Da un lato si trovano in una situazione in cui politiche e regolamentazioni sempre più incisive alzano l’asticella delle performance; dall’altro devono dare risposta a clienti sempre più sensibili alle tematiche ambientali che non sono solo i consumatori finali ma anche altre imprese che richiedono requisisti ambientali sempre più elevati. Le imprese sono al centro di questo processo di cambiamento e possono vedere nella transizione ecologica un’opportunità in termini di risparmio economico e di apertura di nuovi mercati. Materie prime ed energia sono spesso una voce di costo rilevante nei bilanci delle imprese: per questo la transizione ecologica rappresenta un’occasione anche per promuove l’efficientamento e l’innovazione.
In questo scenario qual è il ruolo delle grandi imprese per coinvolgere le PMI?
Le grandi imprese hanno un ruolo importante perché quando definiscono degli standard di qualità, di prodotto e di prestazione escono dai propri confini per coinvolgere tutta la supply chain e l’intero ciclo di vita del prodotto. Hanno l’opportunità, sia a monte che a valle, di incidere sui comportamenti degli altri soggetti lungo l’intera catena del valore. In questa transizione le grandi imprese hanno quindi un ruolo che potremmo definire di traino dell’intero sistema.
Il cambiamento in corso avviene in modo diffuso e nel caso italiano lo stimolo che arriva dall’Europa è determinante. L’ultimo pacchetto europeo approvato, “Fit for 55”, definisce concretamente come ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. È un impegno che riguarda in modo integrato diversi settori, diverse scale temporali e diversi attori. Il tema ambientale non è più visto come separato dalle altre policy e strategie di settore, ma come integrato, toccando tutti i livelli di governance e di policy, le dimensioni di impresa, i comportamenti individuali.
Come è noto nel PNRR una quota importante di risorse è destinata alla transizione ecologica: quali sono le aree di intervento più significative?
La transizione ecologica richiede investimenti importanti e la dimensione ambiente e clima è l’asse fondamentale per rilanciare la competitività. Le imprese devono considerare le misure ambientali come un investimento nel medio-lungo periodo, un impegno strutturale per l’innovazione e non un intervento per dare risposte immediate e provvisorie. L’Europa ha puntato sulla transizione come elemento distintivo: il Next Generation EU e la conseguente approvazione dei diversi PNRR a livello nazionale, generano investimenti con un effetto leva su ulteriori risorse pubbliche e private e dimostrano l’impegno europeo per uscire da questa crisi nella logica della green recovery, cioè nella trasformazione ecologica della nostra economia. Questa è una scelta molto precisa condizionante per tutte le imprese, che si realizzerà in pochi anni: i fondi del PNRR hanno come orizzonte i prossimi 5 anni. Nel PNRR italiano il 38% dei fondi è legato al tema clima e ambiente, soprattutto all’efficienza degli edifici, alla mobilità sostenibile e alla circular economy. Alcuni grandi progetti sono già identificati, altre risorse sono inserite in macro capitoli che si declineranno in opportunità per le imprese nei prossimi anni.
Pensando ai giovani, quali professioni saranno più richieste dal mercato del lavoro in un futuro anche molto prossimo?
Il mercato del lavoro chiederà sempre più esperti che integrano le tematiche ambientali nell’ambito di altre professionalità. Finora abbiamo pensato che chi si occupa di ambiente sia una sorta di consulente interno che lavora separatamente dalle altre funzioni a cui il vertice si rivolge per avere indirizzi sulle strategie ambientali. Ora le competenze ambientali vengono sempre più integrate in tutte le funzioni. Questo lo vediamo anche nel mondo universitario dove le tematiche ambientali si integrano sempre di più con le altre discipline. In alcuni settori la domanda di competenze ambientali è particolarmente elevata. Come per esempio nell’efficientamento energetico degli edifici, nella mobilità sostenibile, nelle fonti rinnovabili e nell’economia circolare. Si tratta dei settori con maggiori impatti sull’ambiente: basta pensare che edifici e mobilità sono responsabili in Europa del 70% delle emissioni climalteranti. Non si deve dimenticare la finanza: sempre più spesso si parla di finanza green e della sua capacità di influenzare le scelte e i comportamenti delle imprese.
La formazione, in particolare universitaria, quale ruolo può giocare in questa fase che vede un grande cambiamento nel modo stesso di fare impresa?
Oggi nel mondo universitario alcune tematiche come quelle che riguardano l’energia, i servizi pubblici e le smart city non sono analizzabili senza una correlazione con la sostenibilità che è diventata una tematica trasversale nella formazione di un manager indipendentemente dal ruolo che andrà a ricoprire in una impresa o in ente pubblico. La componente ambiente è un elemento chiave nella formazione. Sono in corso anche collaborazioni tra università economiche e tecniche per integrare saperi e competenze: cresce la logica della multidisciplinarietà nell’affrontare le tematiche dello sviluppo sostenibile.